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Sviluppo

Accordo Quadro di Cooperazione sul Nilo, entrato in vigore in 7 Paesi a monte, ma respinto da Egitto e Sudan

L'accordo sul Nilo, entrato in vigore il 13 ottobre 2024 e ratificato da sette Paesi a monte, è stato respinto da Egitto e Sudan, aumentando le tensioni sulla gestione delle risorse idriche africane.

Il 13 ottobre 2024 è entrato ufficialmente in vigore il “Cooperative Framework Agreement” (CFA), un Accordo Quadro di Cooperazione sul Nilo firmato da sette paesi dell’Africa orientale, tra cui Etiopia, Kenya, Ruanda, Burundi, Tanzania, Uganda e Sud Sudan. L’accordo, ratificato dai paesi situati a monte del fiume, stabilisce principi e linee guida per un uso equo e sostenibile delle acque del Nilo, con l’obiettivo di favorire la cooperazione e lo sviluppo economico regionale. In particolare, il CFA riconosce alcuni principi fondamentali, come l’uso equo delle risorse idriche, la cooperazione tra Stati sulla base dell’uguaglianza sovrana e la prevenzione di danni ad altri Stati del bacino fluviale. Tra le misure principali, il CFA prevede la creazione di una Commissione per il fiume Nilo, incaricata di garantire una gestione concertata delle risorse idriche.

Abiy Ahmed, primo ministro etiope, ha espresso il suo entusiasmo per l’entrata in vigore del CFA, definendo la giornata “il culmine di un lungo cammino verso un uso equo e ragionevole delle acque del Nilo”. Per i paesi a monte del fiume, l’accordo rappresenta una grande opportunità per sfruttare le risorse del Nilo a scopo agricolo, idroelettrico e industriale, promuovendo così lo sviluppo economico in un’area che dipende fortemente da questo fiume vitale.

Tuttavia, l’accordo è stato fermamente respinto dai due principali paesi situati a valle del Nilo, Egitto e Sudan. Entrambi temono che l’accordo possa compromettere il loro accesso alle risorse idriche del fiume, da cui dipende gran parte della loro economia agricola e idroelettrica. Le preoccupazioni di Egitto e Sudan sono legate in particolare alla costruzione della Grande Diga del Rinascimento, un progetto colossale avviato dall’Etiopia circa dieci anni fa, che ha sollevato forti tensioni politiche e diplomatiche nella regione. Secondo i governi di Egitto e Sudan, la diga rischia di ridurre in modo significativo il flusso d’acqua verso i paesi a valle, con conseguenze potenzialmente disastrose per le loro economie.

La Commissione tecnica congiunta per le acque del Nilo, formata da Egitto e Sudan, ha recentemente respinto il CFA, accusando i paesi a monte di non aver rispettato le leggi internazionali e di aver approvato un accordo “senza consenso”. La posizione egiziana e sudanese sottolinea il timore che l’Etiopia, con il sostegno degli altri paesi a monte, possa gestire le risorse idriche in modo unilaterale, ignorando i diritti storici dei paesi a valle.

La questione della gestione delle acque del Nilo è un tema di lunga data, che riflette un crescente conflitto tra i paesi a monte, interessati a sfruttare le risorse per il proprio sviluppo, e quelli a valle, preoccupati per la loro sicurezza idrica. L’entrata in vigore del CFA segna un nuovo capitolo in questa disputa, che continua a suscitare tensioni geopolitiche in tutta la regione del Nilo.

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