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Focus internazionale

Back to Black- canzoni dietro le sbarre in Iran

La “colpa” di Zara è quella di essersi esibita in un luogo pubblico senza indossare l'hijab, attirando l'attenzione sui social media per i suoi video, in cui osava cantare liberamente; nelle strade, nelle stazioni della metropolitana, sui treni

Questa bella ragazza che canta ‘Back to Black’ di Amy Winehouse per le strade di Tehran, come fanno migliaia di ragazzi nel mondo, è Zara Esmaili. La magistratura della Repubblica islamica, dopo aver bloccato la sua pagina Istagram, ha disposto il suo arresto qualche giorno fa . È stata prelevata dalla sua casa di Karaj, poco fuori Teheran, e da allora la sua famiglia non ne ha più notizie.

La sua colpa è quella di essersi esibita in un luogo pubblico senza indossare l’hijab. Zara aveva attirato l’attenzione sui social media per i suoi video, in cui osava cantare liberamente; nelle strade, nelle stazioni della metropolitana, sui treni, ha fatto risuonare la sua voce potente e limpida. Dalla Rivoluzione islamica del 1979, il fondamentalismo di governo ha reso obbligatorio l’hijab e ha proibito alle donne di cantare e ballare in pubblico, ritenendo provocatoria la voce femminile. Nonostante le restrizioni, molte donne continuano a resistere, usando anche i social media per dare visibilità alle loro performance, a rischio della propria incolumità. Faravaz Farvardin, cantante e attivista per i diritti umani, rifugiata in Germania dopo aver promosso in Iran la campagna “Right to sing”, ha condannato l’arresto dicendo “Non c’è alcuna base legale che giustifichi il divieto di cantare per le donne, è una strategia per sopprimere il dissenso e rafforzare la segregazione di genere”. Pur con i limiti imposti dal severo regime iraniano, Internet è una risorsa per ogni artista per farsi conoscere nel mondo.

«Il loro crimine è stato danzare con i capelli al vento. Il loro crimine è stato che lui o lei era coraggioso e criticava i 44 anni del vostro regime. 44 come gli anni del vostro fallimento», ha cantato il rapper Toomaj Salehi, chiedendo libertà e diritti per gli iraniani. Arrestato il 31 ottobre del 2022, detenuto e torturato nel famigerato di Evin, è stato condannato a morte per impiccagione ad aprile 2024, con l’accusa di “diffusione della corruzione sulla terra, incitamento alla sedizione, riunione, cospirazione, propaganda contro il sistema, incitamento alla rivolta”, tra i reati più gravi secondo la legislazione iraniana. Il 22 giugno scorso la Corte Suprema ha rinviato la decisione anche grazie alla pressione internazionale. La crisi economica in cui versa l’Iran, le proteste contro il regime e la concomitanza con le elezioni presidenziali hanno suggerito di allentare, almeno momentaneamente, la presa.

Per “propaganda antigoverno” e

“incoraggiamento alla protesta e incitamento alla guerra” è stato condannato a 3 anni e 8 mesi di detenzione Shervin Hajipour, autore di “Baraye”, canzone ritenuta l’inno delle proteste in Iran, dopo la morte di Mahsa Amini. “Per la paura di ballare nelle strade…per l’aria inquinata…per la povertà” dice il testo “Per le donne, la vita, la libertà”,

“Baraye zan, zendeghi, azadì”.

Il canto di libertà di Shervin, di Toomaj, di Zara è quello di tutti coloro che usano la loro voce per cantare un futuro migliore.

برای زن، زندگی، آزادی

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