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Da Soweto al fondamentalismo islamico. Come cambia la capacità di ribellione dei ragazzi africani

Il 16 giugno si celebra la Giornata del Bambino Africano. La data fu stabilita in onore degli studenti massacrati a Soweto nel 1976, quando circa ventimila ragazzi scesero in piazza per protestare pacificamente contro la scarsa qualità della loro istruzione e l’insegnamento obbligatorio della lingua afrikaner, ma soprattutto contro il regime segregazionista. Durante i tre giorni successivi i disordini continuarono, i palazzi governativi furono presi d’assalto e i negozi saccheggiati.

Soweto, più precisamente la Southwest Township, era una comunità nera africana di circa 1 milione di persone all’epoca della rivolta, posta fuori Johannesburg, poiché fuori dalle città erano concentrate le baraccopoli che ghettizzavano i neri. Durante la rivolta di Soweto, le forze dell’ordine reagirono con la violenza, uccidendo 176 ragazzi, di cui solo due bianchi, tra cui il tredicenne Pieterson, che divenne il simbolo di quel martirio.

Questo evento segnò uno spartiacque nella storia del Sud Africa, in quanto preparò il terreno fertile per queste forme di rivolta in cui anche persone comuni potevano giocare un ruolo cruciale a favore di cambiamenti sociali radicali. Infatti, gli studenti universitari segregati cominciarono ad organizzarsi come forza politica, aprendo la strada verso profonde riflessioni sul dibattito legato alla razza. Questo movimento trascinò altre fasce sociali come gli operai, che si mobilitarono insieme agli studenti nella lotta politica contro l’apartheid, attraverso una disobbedienza civile non violenta volta a guadagnarsi il riconoscimento di diritti umani fondamentali.

Sono passati decenni da allora, ma non sembra che la condizione dei minori africani sia migliorata, anzi parrebbe peggiorata. In molti Paesi africani, soprattutto nella regione del Sahel, certi tipi di crimini ai danni dei minori hanno raggiunto una gravità tale da non poter più essere tollerata. Il problema, che riguarda principalmente gli orfani, i bambini poveri e i talibés delle daaras, ovvero gli studenti delle scuole coraniche, è stato confermato da numerosi rapporti di ONGs, che testimoniano la preoccupazione della comunità internazionale riguardo ad un problema che coinvolge generazioni di bambini dell’età anche di tre anni.

Ricerche e inchieste hanno rivelato numerosi casi di violenze ai danni di minori, incluso lavoro forzato e reclutamento in gruppi armati. Secondo dati di Human Rights Watch, circa 50.000 studenti delle daaras vivono in stato di schiavitù in Senegal. In particolare, i bambini sono assoggettati al marabut, il maestro della daaras, che, invece di formare gli allievi secondo i dettami del Corano, li sfrutta a proprio esclusivo vantaggio.

In alcune regioni, la progressiva influenza religiosa nella politica e nella vita sociale ha portato ad una “islamizzazione” della società. Questo processo è confermato dalla presenza di gruppi islamici fondamentalisti nei Paesi sub-sahariani, che reclutano minori. In simili contesti è facile che i minori siano indottrinati ed arruolati in quanto reclute privilegiate per il fatto di combattere anche in assenza di remunerazione. Inoltre, essi possono facilmente essere manipolati in virtù della loro maggiore malleabilità e fragilità fisica e mentale, ragione per cui decine di migliaia di minori sono arruolati in diversi Stati africani.

Da quando la crisi è esplosa in Mali nel 2012, il reclutamento di minori è oggetto di inchieste condotte da ONG e dalla giustizia penale internazionale. Queste inchieste hanno confermato che solo una piccola parte di questi minori si arruola volontariamente. E’ stata confermata la presenza di minori di 15 anni in gruppi terroristici islamisti come l’AQMI (Al-Qaida nel Maghreb islamico), una organizzazione militare salafita, e il MUJAO (Mouvement pour l’unicité et le Jihad de l’Afrique occodentale), una fazione dissidente dell’AQMI.

L’UNICEF ha confermato che già a partire dal 2012 centinaia di minori sono stati arruolati nelle forze armate in Mali e diretti verso la regione di Azawad. Alcuni di questi minori provengono dalle ondate migratorie che hanno interessano il Sahel.

Molti Paesi africani hanno ratificato la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, nonché la Carta africana sui diritti e il benessere dei minori del 1990. Tale protezione non dovrebbe essere negata né in tempo di pace né in tempo di guerra, eppure sembra che la condizione dell’infanzia nel Sahel non sia accompagnata da adeguate tutele.

Oggi, il sacrificio dei ragazzi di Soweto, attori storici di un processo di cambiamento epocale per una parte del continente africano, sembra essere stato vano alla luce del destino di nuove generazioni di giovani africani, incapaci di ribellarsi poiché privati persino della consapevolezza che i loro diritti umani sono gravemente negati. I giovani africani oppressi di oggi faticano a sconfiggere i loro oppressori.

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