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RDCongo, una crisi umanitaria ignorata dal mondo

Articolo di Adelaide Ciancio
Foto di Therese Redaelli e Gloria Chad Chabene

La situazione in Congo sta rapidamente peggiorando, eppure sembra che il mondo non se ne accorga. Le risorse minerarie sono l’unica cosa che sembri contare, per la produzione di coltan e cobalto ma nessuno è veramente al corrente – o fa finta di non sapere – di quanto dolore, violenza e morte ci siano dietro. La vita delle popolazioni di molti villaggi nella regione del Nord Kivu, in particolare, è scandita ogni giorno dalle atrocità della guerra e dalle conseguenti situazioni di estrema povertà. La crescente produzione di smartphone e di dispositivi per la tecnologia è l’unica cosa che conta. Sicuramente anche la preoccupazione per le guerre in in Medio Oriente e in Ucraina rivestono una grande importanza e rilievo nella diffusione delle news, tuttavia sembra che non ci sia abbastanza spazio per comunicare al mondo la crisi umanitaria in Congo che passa continuamente in secondo piano.

Le violenze ricorrenti perpetrate ai danni degli abitanti di Goma minano la vita di uomini, donne e bambini. Nonostante la richiesta di aiuti umanitari, le potenze mondiali ignorano quanto accade in questi villaggi. Lo stato in cui vivono le persone è di costante terrore, le truppe delle M23, finanziate dal Rwanda e quindi da grandi potenze come la Gran Bretagna, attaccano senza pietà mentre il mondo non solo non sta a guardare ma spesso ignora quanto sta succedendo. C’è bisogno di protezione, di cure e di farmaci ma è difficile operare in quelle che ormai sembrano delle città fantasma La produzione mondiale di coltan e cobalto ammonta ad oggi a più di 700 tonnellate, a discapito di persone di tutte le età costrette a lavorare in condizioni impossibili.

La petizione lanciata salvare il Congo dal genocidio, supportata da ha raccolto poco più di 3.000 firme ma non bastano per fermare a terribile ondata di violenze. Ad oggi la ONG Operatori Sanitari nel Mondo, cuore e anima delle operazioni di supporto medico e sostegno della popolazione, lavora senza sosta in codice nero: che cosa significa? Da quando l’ospedale è andato distrutto, gli abitanti del Nord Kivu sotto attacco raggiungono Bukavu in cerca di cure e cibo spesso gli operatori si trovano nella difficile situazione a volte di dover scegliere chi salvare tra i feriti, operando una sorta di difficilissimo triage tra coloro che hanno ancora una speranza di essere curati e salvati. E’ un lavoro difficile che lacera l’animo, specie ora che la situazione è davvero drammatica.

Si parla infatti di circa 15 milioni di morti dichiarati ma potrebbero essere molti di più e i campi profughi sono stracolmi, senza servizi. C’è urgente necessità di viveri, di farmaci e di beni di prima necessità e nelle condizioni di vita al limite della civiltà in cui si trovano è inevitabile che si vadano a creare dei focolai di colera e altre malattie, senza contare il problema gravissimo della malnutrizione nei bambini dai tre mesi ai tredici o quattordici anni e spesso anche nelle madri che non possono così allattare i loro piccoli. A causa degli attacchi, inoltre, le strade per i villaggi vengono chiuse e questo fa sì che i prezzi dei beni di prima necessità salgano alle stelle.

Nel Nord-Kivu, in questi giorni, è in corso una battaglia nel territorio di Rutshuru. Le truppe delle M23 cercano da settimane di prendere d’assalto la città. Per ora i giovani della resistenza e l’esercito congolese sono riusciti ad impedirlo ma non sappiamo per quanto ancora potranno resistere, dando modo alla popolazione di darsi alla fuga. Numerosi gli appelli lanciati dagli stessi Operatori Sanitari nel Mondo sul web e sui social nella persona di Therese Redaelli, che con i suoi scatti racconta attraverso le immagini nitide e crude le atrocità della guerra su civili di tutte le età.

Claudio Scatola, Presidente della ONG Operatori Sanitari nel Mondo, dichiara: “Non c’è più tempo da perdere! Né denaro da spendere in armi! Quello su cui bisogna investire sono gli aiuti umanitari e bisogna impegnarsi a facilitare l’accesso alle organizzazioni umanitarie e garantire la sicurezza a noi volontari per darci modo di aiutare le popolazioni del Kivu! Non stiamo parlando soltanto di persone uccise a colpi di armi da fuoco, ma di veri e propri massacri perpetrati ai danni di uomini, donne e bambini che subiscono violenze di ogni genere!”.

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