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Rwanda, intervista a Cyrie Sendashonga, vedova dell’ex-ministro Seth Sendashonga ucciso 26 anni fa

Focus on Africa intervista Cyrie Sendashonga, vedova dell’ex-ministro ruandese Seth Sendashonga, che fu ucciso in Kenya 26 anni fa.

Ci può parlare dell’attività politica di suo marito, il signor Seth Sendashonga?

Mio marito fu un attivista politico fin dalla sua prima giovinezza: egli era particolarmente preoccupato della situazione dei diritti umani e della democrazia in Ruanda. Divenne noto negli anni in cui era studente all’Università nazionale del Ruanda (1972-1975), soprattutto nel 1973, quando ci furono atti di persecuzione contro studenti tutsi, che furono espulsi dall’Università, e si diffuse una violenza di massa, diretta soprattutto contro i tutsi e guidata da studenti hutu, che erano probabilmente manipolati da alcuni politici senza scrupoli o da alcuni agenti dei servizi segreti. Sendashonga, che era un hutu, scrisse degli articoli nel giornale degli studenti universitari (“Il Diapason”), nei quali denunciava e condannava pubblicamente la violenza contro i tutsi ed esprimeva la sua opinione che il Paese dovesse concentrarsi sulle sue priorità di sviluppo, piuttosto che privarsi di preziose competenze, cacciando via dei membri istruiti del gruppo etnico tutsi.

Nel 1974 fu eletto come primo presidente di una nuova organizzazione studentesca, l’AGER (Association Générale des Etudiants Rwandais), che comprendeva tutti gli studenti ruandesi degli istituti di istruzione superiore, sia in Ruanda che all’estero. In qualità di presidente dell’AGER, Sendashonga si oppose alla creazione di uno Stato a partito unico, che il regime militare, che governava il Ruanda dopo aver rovesciato il governo civile con il colpo di stato del luglio 1973, stava imponendo ai ruandesi. Ciò lo portò ad essere espulso dall’Università nell’ottobre 1975 e a doversi esiliare in Kenya per evitare di essere arrestato.

Fu durante gli anni in cui visse in Kenya che iniziò ad interagire con i membri della diaspora tutsi, che erano fuggiti dal Ruanda nel corso degli anni successivi alla rivoluzione sociale del 1959, che rovesciò il sistema monarchico feudale che aveva governato il Ruanda per diversi secoli. Questi tutsi fondarono il Fronte Patriottico Ruandese (FPR), che invase il Ruanda nell’ottobre 1990. Sendashonga si unì al FPR nel 1991 e fu nominato ministro degli interni nel governo di unità nazionale che si formò nel luglio 1994, quando il Fronte prese il potere dopo il terribile periodo del genocidio ruandese, in cui furono uccisi centinaia di migliaia di ruandesi e milioni di persone andarono in esilio. Come ministro degli interni, Sendashonga si rese presto conto che il nuovo regime del FPR, in particolare l’esercito comandato da Paul Kagame, stava commettendo numerosi crimini e altre violazioni dei diritti umani. Questo portò a forti contrasti tra lui e Kagame, che si conclusero con le sue dimissioni dal governo nell’agosto 1995. Lasciò il Ruanda e andò in esilio per la seconda volta in Kenya. Egli, tuttavia, continuò instancabilmente a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla deriva autoritaria del regime del Fronte sotto Paul Kagame e sulle allarmanti violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito, fino a quando fu assassinato il 16 maggio 1998.

Ritiene che ci siano prove sufficienti che sia stato Paul Kagame a dare l’ordine di uccidere suo marito?

Sì, ci sono prove sufficienti che sia stato Kagame a dare l’ordine.

– Il primo indizio è che c’era già stato un tentativo di uccidere mio marito nel febbraio 1996 a Nairobi, pochi mesi dopo che egli aveva lasciato il Ruanda, dopo aver rassegnato le dimissioni da ministro degli interni, in seguito a forti contrasti con Paul Kagame (allora vice-presidente e ministro della difesa) riguardo ai numerosi crimini contro la popolazione civile commessi da membri dell’esercito. Sendashonga denunciava il fatto che Kagame, in qualità di ministro della difesa, non aveva preso alcuna misura per punire i colpevoli e porre fine a tali atti. Nel novembre 1995, dopo alcuni mesi in cui Sendashonga è stato praticamente agli arresti domiciliari, gli è stato permesso di lasciare il Paese ed è tornato a vivere in Kenya, dove mi trovavo con i nostri figli. Un soldato dell’esercito ruandese, di nome Francis Mugabo, che lavorava come addetto amministrativo presso l’ambasciata del Ruanda a Nairobi, fu colto in flagrante dopo aver tentato di sparare a Sendashonga, che era stato attirato a partecipare ad un incontro il 26 febbraio 1996. Dopo averlo arrestato, il governo del Kenya chiese la revoca della sua immunità diplomatica per poterlo processare. Il governo ruandese rifiutò categoricamente e preferì rompere le relazioni diplomatiche con il Kenya per diversi mesi dopo quell’incidente.

– Dopo l’uccisione di Sendashonga, avvenuta il 16 maggio 1998, alcuni sospetti furono arrestati e si svolse un processo in Kenya: alla fine, nel maggio 2001, furono assolti per insufficienza di prove. Nell’assolvere i sospetti, il presidente della Corte Suprema del Kenya dichiarò d’essere convinto che l’omicidio di Sendashonga fosse di natura politica, ordinato dal governo ruandese. Nel corso del processo furono raccolte informazioni preziose e uno dei sospettati, un certo David Akiki Kiwanuka, agente dei servizi segreti ruandesi che operavano in Kenya, rivelò in una successiva intervista, rilasciata nel 2002 ad un regista canadese, che l’ordine di uccidere Sendashonga era arrivato “dall’Alto Ufficio” di Kigali (all’epoca Paul Kagame era presidente del Ruanda).

– Inoltre, il defunto colonnello Patrick Karegeya che, all’epoca dell’uccisione di Sendashonga, era il capo del servizio segreto esterno del Ruanda, mi ha detto personalmente, quando l’ho incontrato nel 2011 mentre viveva in esilio in Sudafrica, dopo che i suoi rapporti con Paul Kagame si erano inaspriti (è stato poi ucciso da agenti di Kagame nel dicembre 2013), che l’ordine di uccidere Sendashonga era stato effettivamente dato da Kagame stesso. Karegeya mi ha informato che una grossa somma di denaro, pari a 100.000 dollari, era stata pagata ad un uomo d’affari keniano ben noto a Kagame, che aveva agito da intermediario, reclutando due agenti di sicurezza keniani, che hanno eseguito l’omicidio.

– Forse la prova più eloquente e di particolare interesse è il fatto che Kagame stesso abbia rilasciato dichiarazioni assimilabili ad un’ammissione di colpa durante una riunione di funzionari del governo ruandese, tenutasi il 9 marzo 2019 a Gabiro, nel nord del Ruanda. Kagame si è vantato pubblicamente dell’omicidio di Sendashonga e del motivo per cui pensava che dovesse morire, aggiungendo che non si scusava per questo. Ha ribadito questa posizione durante un’intervista rilasciata alla rivista Jeune Afrique(n. 3038 del marzo/aprile 2019). Questi due eventi mi hanno spinto a scrivere, il 16 maggio 2019, una lettera aperta al governo del Kenya per chiedere nuove indagini sul caso, poiché ritenevo che le dichiarazioni dello stesso Kagame costituissero nuove prove. Finora non ho ricevuto alcuna risposta.

È possibile perseguire Kagame, anche se è un capo di Stato?

Il fatto che sia un capo di Stato rende difficile, o praticamente impossibile, perseguirlo in un procedimento penale, perché è protetto dalla clausola dell’immunità di funzione. Il sistema giudiziario keniano ha utilizzato questa clausola per spiegare perché non può convocarlo, né incriminarlo, arrestarlo o processarlo in un tribunale penale. Ci potrebbe però essere la possibilità di avviare una causa civile: anche ciò potrebbe essere difficile, perché probabilmente pochi avvocati sarebbero disposti ad accettare il caso, per paura di ritorsioni da parte del regime di Kagame, visto che i suoi servizi di sicurezza sono noti per aver organizzato omicidi transnazionali di presunti oppositori. Personalmente, non sono nemmeno propensa ad optare per una causa civile, perché credo che Paul Kagame debba essere giudicato da un tribunale penale per i crimini che ha commesso ed è mia sincera speranza che ciò un giorno avvenga.

Tradotto dall’inglese da Giuseppe Liguori

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