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Storie

Un cuore che batte per tutti: la squadra dei rifugiati alle Olimpiadi di Parigi 2024

Il 26 luglio, a Parigi si è tenuta la cerimonia di apertura della trentatreesima edizione dei Giochi Olimpici, il più grande evento sportivo a livello internazionale. Dopo Rio 2016 e Tokyo 2020, anche quest’anno partecipa alle Olimpiadi una squadra speciale: quella dei Rifugiati, in rappresentanza delle oltre 120 milioni di persone rifugiate nel mondo, un…

Il 26 luglio, a Parigi si è tenuta la cerimonia di apertura della trentatreesima edizione dei Giochi Olimpici, il più grande evento sportivo a livello internazionale. Dopo Rio 2016 e Tokyo 2020, anche quest’anno partecipa alle Olimpiadi una squadra speciale: quella dei Rifugiati, in rappresentanza delle oltre 120 milioni di persone rifugiate nel mondo, un numero drammaticamente in crescita per il dodicesimo anno consecutivo. Persone costrette a fuggire dai loro paesi d’origine a causa di conflitti persistenti, cambiamenti climatici e incapacità di gestione delle crisi da parte dei loro governi e della comunità internazionale. La scelta di far partecipare la squadra è un modo per portare l’attenzione sulla crisi internazionale dei rifugiati e sensibilizzare la coscienza globale su questo fenomeno, spesso trascurato e dimenticato.

La Squadra Olimpica dei Rifugiati, composta da 36 atlete e atleti, gareggia per la prima volta con un suo logo che raffigura un cuore, simbolo della Fondazione Olympic Refuge, circondato da frecce colorate, emblema delle milioni di storie che hanno un qualcosa in comune tra loro. “Una ricchezza per la nostra comunità Olimpica e per le nostre società”, ha dichiarato Thomas Bach, presidente del Comitato Olimpico Internazionale, annunciando la squadra lo scorso maggio. Ha aggiunto: “Manderete un messaggio di speranza agli oltre 100 milioni di sfollati in tutto il mondo”.

Dei 36 partecipanti, 9 provengono da paesi africani: le etiopi Farida Abaroge e Eyeru Gebru, gli eritrei Tachlowini Gabriyesos e Luna Solomon, i sudanese Jamal Abdelmaji Eisa Mohammed, Musa Suliman e Perina Lokure, il congolese Dorian Keletela e la camerunese Cindy Ngamba.
Sono tutte storie di coraggio, di rivincita personale e di successo. Sono storie che dimostrano la resilienza degli esseri umani e la speranza di fronte a situazioni strazianti.

Tra le tante, Cindy Ngamba, 26 anni, è nata in Camerun. A soli 11 anni, lasciò la sua casa con la madre e il fratello maggiore Kenneth, alla ricerca di un futuro migliore a Bolton, nel Regno Unito. Cindy racconta dei primi anni difficili, segnati dal bullismo, dalla discriminazione e dalla detenzione in un centro di accoglienza a Londra.
“Ero una bambina triste che cercava solo di prendere ogni giorno come veniva, ma era dura. Mi ritrovavo a chiedermi perché Dio mi avesse fatto questo”, dice Cindy. La barriera linguistica la rendeva bersaglio di bullismo a scuola e fare amicizia è stato un processo lento. Ma proprio a scuola, grazie alla gentilezza di un’insegnante di educazione fisica, Cindy scoprì la passione per lo sport. A 15 anni, vedendo un gruppo di ragazzi uscire da un allenamento di boxe, decise di iscriversi anche lei. Da quel giorno, il suo sogno si chiama “Olimpiadi” e quest’estate lo sta realizzando.
Nel 2019, Cindy vinse nella categoria dei pesi mediomassimi al suo primo campionato nazionale. Nel 2022 vinse ancora, per ben due volte. Tuttavia, senza il passaporto britannico, Cindy non poteva competere a livello internazionale, fino a quando non scoprì

la Squadra dei Rifugiati del CIO. “La boxe mi ha insegnato a superare ogni difficoltà”, afferma Cindy. “Il mio viaggio nel Regno Unito, essere lontana da mia madre, il bullismo, imparare la boxe, la questione dei miei documenti, la mia sessualità. Quando sono sul ring e mancano 30 secondi, so che posso farcela. Questa è la mia mentalità”.
L’inaugurazione delle Olimpiadi, oltre alle luci spettacolari e la capitale francese più bella che mai, ha voluto dare un messaggio di pace, di unione, di solidarietà. La presenza della Squadra dei Rifugiati, che ha sfilato per seconda sulla Senna, ha rafforzato l’idea di voler tornare allo spirito originario di Pierre de Coubertin, creatore delle Olimpiadi moderne: un momento di sana competizione tra persone di tutto il mondo, senza disuguaglianze né privilegi, tutti sotto le stesse regole e lo stesso trattamento.
Alla cerimonia di apertura dei Giochi era presente l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, insignito dell’Alloro Olimpico, premio del CIO che onora i risultati in materia di istruzione, sviluppo e pace attraverso lo sport. Grandi ha ricordato l’importanza dello sport come motore di unione tra i diversi popoli, capace di superare le diversità. Ha sottolineato come lo sport rappresenti una luce che ha trasformato la vita di molte persone, offrendo loro una tregua dalle preoccupazioni quotidiane e un senso di sicurezza e rifugio dalle ingiustizie del mondo.

Fonti: Internazionale, UNHCR Italia, olympics.com, Refugees’ Voice – Eurosport, Coni.it

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